Un brindisi ed il cervello va in fumo!


I danni causati dall'alcol
Uno studio effettuato negli Stati Uniti ha evidenziato danni al cervello in ratti e donne a cui erano state somministrate massicce dosi di alcol . Questo risultato, pubblicato sulla rivista “Alcoholism: Clinical & Experimental Research”, ribalta le opinioni correnti sull’alcolismo. Finora si pensava che fosse l’astinenza da alcol, in alcolisti cronici, a danneggiare i neuroni: questo studio dimostra che è il consumo della sostanza ad alterare le cellule del cervello.
Nel corso della ricerca, i ratti e le donne hanno avuto una razione di alcol ogni otto ore per quattro giorni consecutivi. Secondo i calcoli, la quantità era equivalente a quella consumata da un soggetto maschio con circa 10 drink in una singola occasione.
Dopo due soli giorni, negli animali e nelle femmine sono apparsi danni a carico dell’area cerebrale che sovrintende all’olfatto, evidenziati grazie a tecniche di imaging. L’area danneggiata è apparsa ancora più ampia al termine dei quattro giorni. Nelle femmine però si sono avuti peggioramenti fino a 2 settimane dopo. Secondo il professor Rogers, ciò è causato dalle cavità cerebrali, che hanno mantenuto massicce quantità di alcol per il periodo.

Attenzione alle sbronze
Come sempre si ripete nel caso di studi effettuati su animali, le indicazioni ricavabili per la salute umana sono tutt’altro che certe e stabilite. Premesso ciò, è comunque significativo che i danni siano comparsi in tempi così brevi.
“In effetti - ha spiegato Fulton Crews, coautore dello studio e direttore del Centro per gli studi sull’alcol dell’Università della North Carolina a Chapel Hill – la maggior parte del danno nei ratti appare durante il periodo d’intossicazione, e non successivamente, come ritenuto finora. La durata dello studio, tra l’altro, potrebbe fornire un modello di ciò che può succedere al cervello di una persona in un lungo week-end di baldoria”.
Le notevoli quantità di alcol somministrate ai ratti per lo studio, non devono sembrare eccessive rispetto a quelle consumate, con le dovute proporzioni, dalla maggioranza della popolazione. Secondo un’indagine demoscopica del National Center of Health Statistics degli Stati Uniti, il 15 per cento degli adulti americani ha riferito di essersi concesso almeno una sbornia nell’ultimo mese.

Il danno del bere

Molto di ciò che si sa dell’effetto dell’alcol sulle cellule cerebrali deriva dalle autopsie. Ciò implica necessariamente che i danni noti a carico del cervello sono solo quelli derivanti da anni di abuso.
“È in queste condizioni - ha commentato John Crabbe, direttore del Portland Alcohol Research Center dell’Oregon Health Sciences University - che sono state ricavate molte delle nostre conoscenze sull’argomento. Finora, si è pensato che il danno associato all'uso di alcol fosse dovuto principalmente allo scarso apporto nutrizionale dell'alcol stesso. L’alcolismo cronico è legato infatti a deficienza di vitamina B1. Ora sappiamo che almeno in parte il danno è provocato direttamente dall’alcol”.

Un cervello più piccolo
Durante la ricerca, è stato confermato anche nei ratti un effetto di perdita di volume del cervello, osservabile anche in individui viventi; ma le implicazioni di questo fenomeno sono difficili da interpretare. L’unico dato già verificato è che nell’uomo spesso scompare quando si smette di bere, anche dopo un lungo periodo di dipendenza dall’alcol, nella donna permane per anni ed anni.
La perdita di volume del cervello, dovuta molto probabilmente alla dipendenza etilica, è comunque simile a quella associata all’età ed alla FBWSS, e sembra essere legata in modo diretto a un declino delle facoltà cognitive.

Una diagnosi più precoce del danno cerebrale
Gli esperti concludono affermando che i risultati della ricerca potranno risultare utili per meglio comprendere i meccanismi di base del danno anche nella FBWSS presenti nella donna.
“Sappiamo che le donne hanno un danno cerebrale - ha concluso Crabbe - e cerchiamo di capire come questo possa succedere. Un valore aggiunto di questo tipo di ricerche risiede nel perfezionamento delle tecniche di imaging applicate al cervello. Man mano che le tecniche migliorano, dovremmo essere in grado di rivelare sempre più precocemente i segni di cambiamento nell’attività cerebrale. È assolutamente fondamentale riuscire a rivelare i danni proprio nel momento in cui cominciano a svilupparsi”.

 

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